Col braccio levato! Pigonauti sotto spi.

Ora non posso fare a meno di ridere al pensiero di “alza il braccio”.

di Terry

Ero al timone di Peppinella. Più volte durante la navigazione mi era stato detto di non fare l’imbranata, ma io sul serio non capivo e spesso mi ritrovavo nel pallone quando lo straniero era lì a gridare i comandi.
Battiti del cuore accelerati, mano tremante sulla barra del timone come se improvvisamente fossi stata colpita dal morbo di Parkinson.
E in tutto ciò non oso immaginare l’espressione inebetita del mio viso, che di certo dev’essere stato uno spettacolo per niente edificante.

Tracciavo la rotta, una strana rotta, come dire, zigzagata. Con santa pazienza mi suggerivano di orzare un po’, poi però era troppo e quindi dovevo poggiare, ancora un poco dicevano, per riportare subito la barra al centro.
E intanto il mio timore cresceva insieme alla immotivata preoccupazione dello straniero per le sorti di quella barra, vittima, solo apparente, di una forte pressione della mia mano. Per fortuna poche barche intorno a noi e il rischio collisione era davvero remoto. Anche le condizioni meteo erano buone: poco vento, sole e temperatura mite.

Era il tempo ideale per riconciliarmi con il mondo!

Si andava quando lo straniero decide di issare lo spi. Per me era la prima volta, provocandomi quel brivido di agitazione come per tutto ciò che è ignoto e sconosciuto.
Il mio ruolo era sempre quello di timoniere ubriaco, non potevo sottrarmi a questa responsabilità. Ero pronta ad eseguire i comandi, anche perché senza indicazioni sarei stata capace di portare l’equipaggio al naufragio!

Manovre concitate, miei continui errori e poi da prua quel comando urlato “alza il braccio!”.
La mia mano sinistra sulla barra del timone, l’altra appoggiata sullo scafo vicino a scotte, strozzatori e tutte le altre cose di cui non ricordo bene i nomi.
In una frazione di secondo mi sono chiesta:

a) forse con la mano ho bloccato la scotta; b) vogliono testare il mio grado di riflessi pensando che mi sia addormentata; c) abbiamo incrociato degli amici; d) lo straniero vuole essere salutato. Ipotesi, quest’ultima che viene subito scartata.
Prontamente rispondo e alzo il braccio libero come a dire “presente”….

Sul volto dello straniero un’espressione di sconcerto unito a sconforto, un lungo scuotere del capo quasi a significare “ma si può ?!”.
Non so come, ma realizzai che il braccio era la scotta che andava liberata dallo strozzatore…

Con la testa china e assalita dalla vergogna continuavo a timonare. Sapevo che le parole non sarebbero servite a niente. In silenzio desideravo solo di essere inghiottita dalle profonde acque.
Dopotutto, chi mi ha mai detto che cos’è un braccio?