Di Omero e di Dante

Andar per mare

“Lieto del vento, il chiaro Odisseo tese le vele.
Egli dunque col timone guidava destramente,
seduto: né il sonno gli cadeva sugli occhi
guardando le Pleiadi, Boote che tardi tramonta,
e l’Orsa che chiamano anche col nome di carro,
che ruota in un punto e spia Orione:
è la sola esclusa dai lavacri di Oceano”
Hom., Odissea, V, vv.269-275

Comincia così, dall’isola di Ogigia, il ritorno ad Itaca di Odisseo, reduce dalla guerra iliaca.

Nell’eroe omerico è racchiuso il navigatore audace, curioso, astuto, capace di adattarsi a mille situazioni. E’ l’avventuriero dell’Egeo, il rappresentante delle talassocrazie mediterranee, che manifesta le caratteristiche di un mondo dinamico e in ascesa.
I suoi emozionanti viaggi sono narrati da Omero sullo sfondo di un mare “infecondo”, “periglioso”, “canuto”, “viola o color del vino”; il mare descritto nei momenti di burrasca ma anche, nella altrettanto rassicurante, piatta assoluta; il mare aperto su cui si stagliano paesaggi mediterranei bruciati dal sole e riarsi dalla salsedine o, al contrario, verdeggianti e rigogliosi.

L’affascinante itinerario di Odisseo sembra riflettere esperienze reali di navigazione; il poeta greco traduce in vivace racconto una rotta fenicia e lo fa con tale precisione tanto da essere considerato un vero e proprio portolano. La narrazione è ricca di preziose informazioni: i riferimenti astronomici utili all’orientamento, le rotte da evitare, gli approdi consigliati, le indicazioni di rischi e pericoli della navigazione, che gli stessi Fenici avevano mitizzato, per impedire ai loro concorrenti di percorrere gli stessi tragitti.

Un grande eroe che precipita nell’Inferno dantesco, come anima dannata, per aver condotto i suoi compagni ad esplorare il mare oltre le colonne d’Ercole, incitandoli con questi che sono forse i versi più famosi del Sommo Poeta
«Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza».

Per questa audacia troveranno la morte. La giustizia divina fa inabissare la nave e Dante lo condanna, ritenendo il suo viaggio “folle” perché, superando lo Stretto di Gibilterra, ha varcato il limite posto da Dio alle conoscenze umane ed è stato “giustamente” punito.

Ulisse pecca di superbia, ha osato avventurarsi là dove non doveva e Dante lo descrive come l’uomo degli inganni e non come “eroe della conoscenza”.

E tu da che parte stai?

Una risposta a “Di Omero e di Dante”

  1. La ricerca spasmodica di superamento, spesso spacciata come ricerca della conoscenza, porta spesso effetti nefasti. Possiamo vedere questo in ogni settore della storia umana. La scienza, ad esempio, deve avere la capacità di arrestare una linea di ricerca se questo, traguardato attraverso la lente di un sano principio di precauzione, fa temere sviluppi tali per cui gli svantaggi nel lungo termine superano l’anelato beneficio. Esiste dunque una nozione di limite. Di frontiera. E chiedersi cosa comporterà superare questa linea non deve portare all’inazione e alla incapacità. Piuttosto deve arricchire la consapevolezza che all’uomo è stato dato un ruolo di mantenitore dell’esistente, migliorandolo sperabilmente, ma sempre nell’ambito di quel principio di precauzione.

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